Il paesaggio borbonico di Terra di Lavoro
“«…una volta elevate al grado di libero regno, saranno tue. Va dunque e vinci: la più bella corona d’Italia ti attende» ”(La Regina Isabella Farnese al futuro re Carlo, appena maggiorenne, in partenza per la conquista del Regno delle Due Sicilie)
Il 20 gennaio del 1716 nasceva a Madrid uno dei sovrani che hanno più inciso nella storia dell’arte e dell’architettura del nostro Mezzogiorno e dell’Italia intera; a lui si deve la realizzazione di una delle più celebrate opere del nostro grande patrimonio culturale. Si tratta di Carlo Sebastiano di Borbone[4], duca di Parma e Piacenza con il nome di Carlo I, dal 1731 al 1735, incoronato re diNapoli e Sicilia, con il nome di Carlo VII[5], dal 1735 al 1759, e poi fino alla morte, re di Spagna con il nome di Carlo III. Primogenito delle seconde nozze di Filippo V di Spagna con Elisabetta Farnese, secondo la linea di successione era il terzo pretendente al trono spagnolo. Fu proprio questo che spinse la madre a fargli ottenere una corona nella nostra penisola, rivendicando l’eredità dei Farnese e dei Medici, due dinastie italiane sull’orlo dell’estinzione. Attraverso una sagace operazione diplomatica la regina Elisabetta ottenne per il figlio il Ducato di Parma e Piacenza, di cui egli divenne Duca nel 1731, e l’anno seguente fu dichiarato Gran Principe, cioè, principe ereditario del Granducato di Toscana.
Il 10 maggio 1734, Carlo di Borbone entrò a Napoli accolto dai sudditi con lo stesso entusiasmo tributato agli Austriaci. Tale atteggiamento di esultanza nasceva da un diffuso e profondo malcontento verso i precedenti regimi e non da un’ottusa disponibilità verso ogni forma di dominazione.
Stavolta, la cessione da parte di Filippo V al figlio di ogni suo diritto, l’interessamento verso gli altri Stati europei garantito dal possesso dei nuovi domini, la presenza del giovane sovrano, sembravano alimentare la speranza di un diverso rapporto fra popolo e governanti. Da tempo era in atto una crisi in ogni ramo dell’amministrazione pubblica e per ristabilire l’equilibrio finanziario del regno occorreva per prima cosa delimitare lo strapotere delle gerarchie ecclesiastiche, anche annullando i loro privilegi nell’ambito dell’edilizia, tema determinante per gli interventi urbani[6]. In merito all’edilizia ecclesiastica, una circolare del ministro Brancone stabiliva la sospensione di tutti gli edifici in costruzione e l’obbligo del regio assenso per le future edificazioni religiose. Questi provvedimenti resero i rapporti tra Napoli e Roma sempre più tesi e si conclusero con il Trattato di Accomodamento (1741), tra Regno di Napoli e Santa Sede, col quale la Chiesa rinunciava a una parte dei suoi privilegi.
In questo modo si vennero a formare quelle premesse socio-politiche per un’effettiva ristrutturazione della città e per la conseguente trasformazione edilizia, attraverso interventi indispensabili per trasformare la struttura urbana di Napoli in quella capitale la cui espansione era stata soffocata dalla situazione deficitaria.
La precedente politica urbanistica si giustificava con l’esigenza di difendere la città e nello stesso tempo di impedire il flusso migratorio verso la capitale, cosa che avrebbe comportato uno spopolamento delle campagne compromettendo l’economia agricola del viceregno, ma le leggi restrittive avevano dato effetti negativi molto profondi.
In realtà il problema era di altra natura: esisteva un rapporto sbilanciato tra Napoli e le altre province. L’inurbamento poteva essere contrastato solo riorganizzando l’agricoltura, ponendo dei limiti al sistema feudale e annullando quei benefici che costituivano il presupposto dello spopolamento delle campagne e dell’addensarsi della popolazione nel centro urbano che, tra l’altro, non alimentava una grande domanda di forza lavoro che restava così sottoccupata incrementando la miseria della città.
Il nuovo governo di Carlo si trovava così a fronteggiare una situazione grave, circondato, nei primi anni di regno, dalla stessa classe dirigenziale che aveva operato sotto il viceregno austriaco e con l’impossibilità di agire da parte del Supremo Magistrato di Commercio[7], animato da una classe giudiziaria contraria all’innovazione. La riconquistata indipendenza politica non poteva provocare uno stravolgimento della struttura economica ed amministrativa del regno soprattutto nel rapporto tra capitale e province, rapporto che sembrava volersi ulteriormente squilibrare per le esigenze assolutiste tese ad accentrare le funzioni direttive nella capitale.
Bisogna anche ricordare che la funzione delle capitali e del loro rapporto con le province, era uno dei temi più dibattuti nell’ambito dei riformatori illuministi europei del Settecento e Napoli risultava un caso interessante per i suoi estremi squilibri interni e per la sua funzione accentratrice rispetto al Regno, con un’economia in crisi non per la crescita della popolazione, ma per la mancanza di fonti di lavoro. Guardando alla Francia e all’Inghilterra, si evinceva che la sofferta situazione economica poteva essere superata solo se la borghesia e la nobiltà rendevano produttive le proprie ricchezze, risvegliando commercio e agricoltura[8].
Insediamento al trono di re Carlo VII di Borbone
[4] Carlos Sebastián de Borbón y Farnesio.
[5] Era Carlo VII secondo l’investitura papale.
[6] M. Schipa, Il Regno di Napoli al tempo di Carlo di Borbone, Napoli 1923, vol. II, libro IV; F. Strazzullo, Edilizia e Urbanistica a Napoli dal 500 al 700, ivi 1968.
[7] Magistratura speciale per la materia commerciale istituita con editto del 26 novembre 1739, fu investita inizialmente di amplissima giurisdizione, dal 1746 peraltro limitata alle sole cause vertenti fra stranieri e napoletani per merci straniere, con l'esclusione dal novero dei soggetti processuali di nobili e negozianti. Nel 1792 estese la sua competenza alla materia dei cambi. Il ricorso al supremo magistrato di commercio era ammesso contro le sentenze delle magistrature commerciali di grado inferiore, della Corte del Gran Almirante e della Corte del Consolato di terra e mare, riunite poi nel 1785 nel Tribunale dell'Ammiragliato.
[8] G. Alisio, Siti reali dei Borboni, Il regno indipendente e la nuova struttura della città, Roma 1976.