Il paesaggio borbonico di Terra di Lavoro
Alla base del fervore edilizio che caratterizzò il governo borbonico c’erano dunque due motivazioni, una di natura pratica e l’altra ideologico-culturale. Se da una parte l’edilizia, in un’economia povera come quella napoletana, rappresentava il mezzo quasi immediato di assorbimento di manodopera, dall’altra, nella visione dello Stato assolutista che si veniva a delineare nel corso del Settecento, i grandi edifici pubblici erano considerati il simbolo della nuova realtà politica e costituivano l’esaltazione del potere monarchico[9]. Pertanto anche a Napoli questi edifici non furono più intesi quali semplici episodi architettonici, ma furono visti in rapporto all’intera struttura urbana, anzi suoi elementi caratterizzanti. Con la loro imponenza contribuirono a conferire alla città quel volto di capitale a livello internazionale, simboleggiante il risveglio della cultura.
Tuttavia gli interventi di ristrutturazione furono, per la maggior parte, esteriori e non tennero conto delle urgenti necessità del popolo. In realtà non si riuscì a configurare una nuova forma urbana che potesse diventare il fulcro intorno al quale si sarebbero realizzate le fasi successive di sviluppo.
L’espansione oltre le mura avvenne limitatamente alla sistemazione del litorale di Mergellina e di via Posillipo, mentre i problemi dell’area settentrionale furono affrontati in maniera più incisiva con l’ampliamento del porto[10]. Fu pavimentata la via Marittima oltre ad essere protetta in più punti dalla furia del mare.
Il raccordo con le strade della Marinella e del Borgo Loreto, già avviate sotto il vicereame austriaco, consentì alla città di aprirsi verso i centri della costiera vesuviana e salernitana[11].
Veduta del porto di Napoli - Antonio Joli
Per la realizzazione dei suoi ambiziosi progetti, il sovrano mal si opponeva all’intervento degli architetti locali, esponenti del tardo barocco napoletano. Domenico Antonio Vaccaro[12]e Ferdinando Sanfelice[13], i due principali protagonisti, furono raramente richiesti per i nuovi progetti che furono invece affidati a ingegneri militari ed architetti scelti soprattutto nell’ambiente romano, più disponibili ad assecondare meglio la volontà politica che rifiutava quanto si era creato nel passato. Ma né Antonio Medrano[14]né Antonio Canevari[15], in definitiva, furono all’altezza dei compiti loro assegnati e solo con la venuta di Ferdinando Fuga[16]e Luigi Vanvitelli[17], i programmi di re Carlo trovarono la loro più felice realizzazione[18].
In realtà nei primi quindici anni di regno, nella capitale convissero due correnti architettoniche distinte: l’edilizia ufficiale, espressa in un linguaggio d’importazione, e l’architettura locale che portava avanti l’orientamento formale ricco di decorazioni e fantasie negli stucchi.
[9] Questo discusso artista, nato a Napoli nel 1681, ivi morto verso il 1750, fu architetto, scultore e pittore, e fin da giovane seguì il padre Lorenzo, nella sua bottega, formandosi, poi, come pittore, all'ombra di Francesco Solimena. Famoso artefice di Pastori, per i Presepi Napoletani insieme al Merliano, Catuogno, Astarita, e del Gaizo;come pittore è ricordato per le sue tele nella Chiesa della Concezione a Montecalvario e per quelle in Santa Maria di Monteverginella.
[10] Ferdinando Sanfelice (1675- 1748). Architetto napoletano, iniziò il suo percorso artistico come pittore introdotto, dalle sue sorelle, monache nel Monastero di Donnalbina, nella cerchia dei discepoli del Solimena. Dotato di molto ingegno si fa notare anche come arcitetto e dopo un'intensa attività a Napoli, lo troviamo a Nardò ( Puglia ), dove può mostrare tutto il suo talento (predilezione per il roccocò), grazie anche agli incarichi che il fratello, Antonio Sanfelice, vescovo di Nardò, gli procurò.
[11] Architetto (1703 - 1738). Nel 1719 entrò al servizio della Spagna come ingegnere militare, poi seguì don Carlos che, divenuto Carlo III di Napoli, lo nominò (1735) architetto reale, affidandogli importanti lavori tra i quali il teatro S. Carlo (iniziato nel 1737) e il palazzo di Capodimonte (iniziato nel 1738).
[12] Architetto (1681 - 1759). A Roma ricostruì la chiesa e il convento dei SS. Giovanni e Paolo, e compì quelle delle Stimmate (iniziata da G. Contoni) e di S. Eustachio. A lui si deve anche la sistemazione (in seguitomodificata) del Bosco Parrasio sulle pendici del Gianicolo. A Napoli costruì anche il palazzo reale di Portici. Lavorò anche in Portogallo dove, a Lisbona, innalzò la torre dell'orologio.
[13]Architetto (1699 - 1781). Studiò a Firenze con G. B. Foggini, e si perfezionò a Roma. Tra le sue prime opere sono il portico d'accesso alla chiesa di S. Cecilia a Roma (1725) e la cappella del palazzo di Cellamare a Napoli. Nel 1730 fu da Clemente XII nominato architetto dei Palazzi Pontifici. Sono opera sua, a Roma, l'ala del Quirinale detta manica lunga, il palazzo della Consulta e il palazzo Corsini (1732-36), la chiesa di S. Maria della Morte, la facciata di S. Maria Maggiore (1743-50), il palazzo Cenci-Bolognetti, il carcere delle donne a Porta Portese; a Napoli, l'Albergo dei poveri, la chiesa degli Incurabili (1763), la Manifattura reale di porcellane, i Granili, la chiesa dei Gerolamini (1780 circa), i palazzi Giordano e Caramanico. Ottimo costruttore, si attenne a uno stile equilibrato e nitido, innestando motivi decorativi barocchi su strutture di tradizione classica; inoltre, nelle facciate, seppe ottenere effetti pittorici dalla ritmica successione degli elementi.
[14] Architetto (1700 - 1773), figlio di Gaspard van Wittel, fu uno dei più grandi architetti italiani tra il barocco e il classicismo, e cercò di adattare i modi francesi al gusto italiano. Suo capolavoro è la Reggia di Caserta (1752-73), che dal punto di vista stilistico costituisce la più grandiosa espressione di quel rinnovamento classico che è base del pensiero vanvitelliano. Dal padre apprese la pittura, che praticò in decorazioni a fresco (a Viterbo, chiesa del Suffragio; a Roma, S. Cecilia in Trastevere), ma che abbandonò ben presto per darsi all'architettura. Studiò per suo conto i monumenti romani, Vitruvio, i trattatisti del Cinquecento. A Roma, con N. Salvi prolungò la berniniana facciata di pal. Odescalchi ed eseguì l'acquedotto di Vermicino; partecipò (1730) al concorso per la facciata di S. Giovanni in Laterano. Architetto di S. Pietro (dal 1735), costruì ad Ancona il Lazzaretto, l'Arco Clementino, la cappella delle reliquie di S. Ciriaco, la chiesa del Gesù; a Roma compì la trasformazione di S. Maria degli Angeli, costruì il convento degli agostiniani, ecc. Realizzò poi la reggia di Caserta, vastissimo palazzo concepito come elemento di una intera sistemazione paesistica, d'impronta severamente classica, pur con qualche ricordo barocco (scala regia). Contemporaneamente egli costruì anche l'imponente acquedotto Carolino, la chiesa della Ss. Annunziata (iniziata nel 1761, terminata nel1782 dal figlio Carlo), ecc. La trasformazione del Palazzo Vicereale di Milano, che gli era stata affidata (1769), fu poi condotta dal suo allievo G. Piermarini. Il figlio Carlo (n. Napoli 1739 - m. 1821) aiutò il padre in numerose opere nel Napoletano, dove dal 1773 fu primo architetto di corte. Tra le opere: la chiesa Trinità dei pellegrini a Napoli.
[15] M. Schipa, op cit., vol. II, libro VII. Secondo lo Schipa gli architetti napoletani erano in numero insufficiente a sostenere il ritmo imposto all’edilizia del regno e, d’altra parte, Vaccaro e Sanfelice erano anche troppo anziani per poter eseguire quanto si chiedeva ed erano così impiegati in lavori secondari.
[16] F. Venturi,Napoli capitale nel pensiero dei riformatori illuministi, in Storia di Napoli, vol. VIII, Napoli 1971.
[17] Opera su progetto di Giovanni Bombé con il prolungamento del molo grande verso oriente e con la sistemazione di grandi magazzini.
[18] Il collegamento venne reso più libero dalla demolizione delle ormai inutili mura cittadine verso il mare.
2.1 La reggia di Capodimonte
Furono fatti immensi sforzi per dotare Napoli delle necessarie strutture rappresentative: il 9 settembre 1738 si pose la prima pietra del palazzo di Capodimonte, anche se il ritmo di lavoro subì un progressivo rallentamento sia per lo scarso interesse del sovrano impegnato, nel frattempo, dall’avvio della costruzione della più fastosa reggia di Caserta, sia per le difficoltà tecniche incontrate per adattare le fondazioni dell’edificio al suolo accidentato[19].
La costruzione della reggia di Capodimonte fu affidata ad Antonio Medrano e Antonio Canevari, mentre l’ideazione del bosco viene attribuita a Ferdinando Sanfelice. La prima idea fu di costruire un casino di caccia e successivamente un palazzo idoneo ad accogliere la collezione farnese, eredità materna.
La concezione del parco fu influenzata in maniera prevalente dalla necessità di impiantare un numero di alberi idoneo a supportare l’attività venatoria: di qui la presenza di oltre 4000 varietà di alberi secolari, felci, querce, tigli, castagni, cipressi, pini, con un foltissimo e variegato sottobosco.
L’attività venatoria all’epoca, non era solo un “divertimento”, era una vera e propria funzione di stato: vi partecipavano capi di governo, re e nobili, ministri ed anche artisti e pittori chiamati a ritrarre le cerimonie e a testimoniare la grandiosità dello scenario paesaggistico.
Il Palazzo è caratterizzato dallo lo stile dorico, considerato il più idoneo per un edificio destinato ad ospitare anche una sede museale. Le membrature in piperno grigio, contrastano con il rosso napoletano delle pareti intonacate.
Per quanto riguarda il bosco, il progettista riuscì a fondere il nuovo spirito raziocinante e il gusto tardo barocco. I cinque lunghissimi viali sono fiancheggiati da alberi disposti regolarmente che s’intersecano a viali minori offrendo improvvise prospettive e una sistemazione arborea scenografica.
I cinque viali del parco di Capodimonte
Già al suo primo sorgere il parco aveva un aspetto molto “naturale”, con una felice combinazione tra la tipologia propria dei giardini all’italiana e quella apparentemente spontanea del giardino all’inglese e appariva a chi l’attraversava un elemento perfettamente in linea con l’ambiente.
L’impressione che si riceveva era quella di una residenza principale ed altre minori costruite all’interno di un’area boschiva preesistente. Eppure gli alberi secolari erano stati impiantati scegliendo con cura le varietà, mentre l’irto e impervio percorso con cui in origine si raggiungevano reggia e parco, fu sostituito da un’ampia strada d’accesso. L’area mancava di acqua e fu necessario trasportarla con immense cisterne. L’efficienza paesaggistica della creazione era data invece dall’abbondante fauna che vi veniva cacciata.
Reggia di Capodimonte
Le numerose vedute della seconda metà del Settecento, ben rappresentano come l’edificio, con la sua mole incombente su Napoli, delineava un episodio di grande importanza paesistica in rapporto all’intera struttura della città. Occorre attendere gli interventi successivi, nel periodo napoleonico, per l’integrazione dello sviluppo urbano e il collegamento con la costruzione del ponte della Sanità[20].
Veduta del Golfo di Napoli da Capodimonte
La reggia di Capodimonte fu destinata ad accogliere anche un “capriccio del re”: la Real Fabbrica di porcellana di Capodimonte. L’interesse per la porcellana nasceva nella moglie di re Carlo, Maria Amalia Valpurga, figlia dell'Elettore di Sassonia Federico Augusto, nonché nipote di Augusto il Forte, creatore della celebre fabbrica di porcellana di Meissen.
Anche in questo caso, si sopperì alla mancanza in loco del caolino[21], indispensabile nel processo di realizzazione dei prodotti ceramici, con massicce importazioni.
Salottino di porcellana della regina Maria Amalia
[19] Il palazzo ebbe una destinazione mal definita poiché doveva rispondere alla necessità di accogliere le collezioni lasciate da Elisabetta Farnese. Medrano non aveva tenuto conto delle numerose grotte delle catacombe cristiane presenti sotto la collina, risalenti al I secolo d.C., che cominciarono a crollare quando incominciarono ad elevarsi i massicci fabbricati. Inoltre mancava completamente l’acqua che veniva fatta arrivare quotidianamente da Porta Capuana. Non potendo tenere testa a tutti questi problemi, Medrano ebbe la collaborazione di Antonio Canevari, un architetto romano che era stato impiegato in Spagna. Il palazzo non fu finito ma venne usato come padiglione di caccia e i saloni, più tardi, usati come gallerie di quadri.
[20] B. Maioli, Il museo di Capodimonte, Cava de Tirreni 1963; N. Del Pezzo, Siti reali: Capodimonte, in <<Napoli nobilissima>> vol. XI (1902) fasc. V – XI – XII.
[21] Il caolino è una roccia prevalentemente costituita da caolinite, un minerale silicato delle argille (alluminio silicato idrato). Il caolino deve il suo nome alla collina da cui venne estratto per la prima volta nel XVIII secolo, in una regione della Cina, presso un importante giacimento sul monte Gaoling.
2.2 La reggia di Portici
Nel 1738 vennero acquistate le ville del conte di Palena e del principe di Santobuono, tra Portici e Resina, con l’intenzione di renderle adatte ad ospitare il re e la sua corte. Ben presto, appena definita l’estensione delle terre, si passò all’idea di un palazzo costruito ex novo.
L’insolita posizione del palazzo posto a cavallo della rumorosa “strada delle Calabrie”, è stata sempre oggetto di aspre critiche da parte di alcuni studiosi. Essa invece rappresenta forse l’unico elemento originale in un contesto architettonicamente mediocre[22] e fin quando non fu costruito il Palazzo di Caserta, Portici fu la residenza favorita della famiglia reale. La sua particolarità era la vecchia strada che divideva a metà il palazzo, così che tutti quelli che andavano in Calabria, a Torre del Greco o nelle città costiere, dovevano attraversarlo.
La Reggia di Portici vista dal Viale dell’Università, già Via delle Calabrie
La novità era data da due assi prospettici che si sostituivano ad una prospettiva unica, estendendo il concetto di edificio risolto in chiave urbanistica mediante prospettive dinamiche. La veduta tangenziale costituisce il punto di vista principale dei nuovi edifici borbonici che diventa così un elemento caratterizzante in accordo con la loro dimensione urbana[23]. La reggia di Portici fu iniziata contemporaneamente a quella di Capodimonte e a lungo si è creduto che il Palazzo fosse stato ideato e realizzato in funzione delle ville preesistenti acquistate da re Carlo. Invece, dopo un’attenta lettura delle antiche proposte progettuali[24], è stata spiegata la particolare costruzione della reggia grazie a motivazioni non tanto architettoniche quanto piuttosto di carattere politico e sociale: re Carlo voleva «sperimentare una nuova forma di palazzo che incarnasse, verso l’esterno, l’idea di “monarchia clemente”, che consentisse al popolo di sentirsi materialmente e fisicamente più vicino al sovrano»[25].
Ingresso principale della reggia di Portici
Quando Carlo scelse Portici come residenza, gli fecero subito osservare che era troppo vicino al Vesuvio[26] e quindi pericolosa. La località, però, aveva vari vantaggi: dando sul mare da un lato, e su un ampio giardino e su un bosco di querce sempreverdi dall’altro, risultava idonea alla caccia e alla pesca contemporaneamente, inoltre era vicina ad Ercolano, luogo d’incanto ancora più "sottile"[27].
Il Palazzo, costituito da una parte inferiore ed una superiore, è diviso da un vasto cortile attraversato dall’antica strada citata. Dal vestibolo si accede al primo piano attraverso un magnifico scalone lungo il quale sono poste statue provenienti da Ercolano; anche per i pavimenti vennero usati mosaici provenienti dagli scavi.
Al primo piano vi sono la Sala delle Guardie e la Sala del Trono, che ancora conservano parte delle decorazioni originarie.
L’edificio fu dotato di due parchi, uno inferiore e uno superiore, entrambi sorgenti sulla colata lavica dell’eruzione del 1631. Per interrare i lecci adulti con le loro radici, su un suolo roccioso lavico, fu necessario usare gli esplosivi, realizzando un intervento di ingegneria botanica all’avanguardia per i tempi.
Il giardino all’inglese che degrada dolcemente verso il mare è caratterizzato da lunghi viali; notevole è la Fontana delle Sirene, una statua di scavo raffigurante la “Vittoria”, il “Chiosco” di Re Carlo, con un tavolino con mosaico, la Fontana dei Cigni e la statua di “Flora”, anch’essa di scavo; vi è poi un anfiteatro a tre ordini di scale.
Fontana delle Sirene
Al di là del giardino si estendeva il bosco, realizzato, tra l’altro, tenendo presente le tipiche attrazioni adibite agli svaghi di corte: il recinto per il gioco del pallone, la piazza fortificata per le esercitazioni militari, la fagianeria[28].
Nato come dimora estiva della Corte, il Palazzo Reale divenne col tempo residenza reale e sede del Museo Ercolanense, voluto da Re Carlo per raccogliere gli oggetti portati alla luce ad Ercolano[29]. Terminati i lavori nel 1742, la Reggia si rivelò però insufficiente ad ospitare tutta la corte e così molte famiglie aristocratiche, per star vicino ai sovrani, acquistarono o fecero costruire ville nei dintorni, creando quel patrimonio artistico caratteristico dell’area, noto come “Ville Vesuviane”.
[22] G. Alisio, Una rilettura su inediti del palazzo reale di Portici, in <<L’Architettura cronache e storia>>, n. 226, Agosto 1974.
[23] Numerose ville, poste lungo le strade vesuviane, senza verde che le allontanino o proteggano dal traffico, furono progettate secondo la visuale tangenziale.
[24] Che non furono accettate dal Sovrano perché finalizzate allo spostamento della strada regia.
[25] M.G. Mazzola, in Opere d'arte restaurate nelle province di Siracusa e Ragusa, II, 1989, a cura di G. Barbera, Siracusa 1991.
[26] “Maria Immacolata e San Gennaro ci proteggeranno” si dice che rispose, H. Acton,I Borboni di Napoli (1734-1825), Martello, Milano 1960.
[27] Nel 1711, mentre stavano scavando un pozzo, alcuni operai dissotterarono una statua. Questo fatto, durante il viceregno austriaco, fu saputo dal Principe d’Elboeuf che iniziò a scavare segretamente, riempendo la sua villa con statue, capitelli e frammenti vari. Villa d’Elboeuf fu acquistata dai Borbone che la adibirono a dependance della reggia di Portici, in quanto era attigua alla riserva di pesca del Granatello, dove Carlo III amava pescare. Carlo diede anche incarico all’ingegnere Alcubierre di continuare gli scavi. Le difficoltà erano enormi perché la città antica giaceva sotto una ventina di metri di fango pietrificato e al di sopra vi erano le case di Resina. Nonostante molto reperti sopravvissero ai metodi di Alcubierre di usare picconi e mine, Canart, scultore che ebbe l’incarico di restaurare le statue rotte, tolse ai bronzi la bella patina che avevano e non esitò a fondere quelli che superavano la sua capacità di restauratore. Tra l’altro egli distrusse anche uno splendido torso greco di un conducente di biga. Ferdinando IV promosse ulteriori lavori; si costruirono il Bagno della Regina, raro esempio di architettura balneare in quanto il costume di andare in spiaggia non era molto popolare, ed un viale che dalla Reggia di Portici metteva direttamente in comunicazione con la villa.
[28] Nel 1742 vi fu messo uno zoo con animali esotici, tra cui un elefante regalato a Re Carlo dal sultano Mahmud, per il quale fu pubblicato anche un opuscolo, Dissertazione dell’Elefante, del 1766.
[29] Portici divenne così una delle mete del Grand Tour.
2.3 La reggia di Caserta
Di tutte le splendide opere e costruzioni con cui i Borbone abbellirono e modernizzarono il Regno delle Due Sicilie, il fiore all’occhiello è senz’altro l’universalmente conosciuta ed apprezzata reggia di Caserta, come noto progettata ed in gran parte costruita dall’architetto olandese Ludwig Van Wittel, italianizzato Vanvitelli. Questi fu voluto a Napoli personalmente da re Carlo, il quale, da degno pronipote del Re Sole, voleva procedere alla costruzione di un nuovo Palazzo Reale, “dimora” all’altezza di un Sovrano Borbone e della sua Corte.
L’esigenza alla base di questo progetto era principalmente quella di avere una reggia non a Napoli ma vicino Napoli[30], quindi lontana dal mare per il timore degli attacchi della flotta inglese, ma, allo stesso tempo, non troppo distante dal centro politico e amministrativo. Inoltre, nelle sue intenzioni, la nuova costruzione sarebbe dovuta essere la più bella e grande reggia del mondo, ad onore del nuovo Regno da lui conquistato e come ulteriore riprova della sua volontà che tale Regno fosse realmente indipendente e sovrano.
Ed infatti re Carlo seguì, nel corso degli anni, personalmente i lavori, unitamente alla Regina, divenendo entrambi a tutti gli effetti le guide ispiratrici di Vanvitelli, senza mai travalicare però il progetto iniziale del grande architetto. Fu un “unione d’animi” eccellente: ciò è riprovato dallo stesso Vanvitelli che, nelle sue periodiche lettere al fratello, esprimeva sempre la sua gioia per l’attenzione che i due Sovrani davano al suo lavoro e per l’armonica intesa che permetteva di procedere velocemente e con grande profitto.
Tela di Hackert raffigurante la reggia di Caserta
Il luogo prescelto fu un vasto territorio pianeggiante e boscoso alle falde dei monti Tifatini, sulle terre dei Conti di Caserta. Il complesso del palazzo reale con i suoi giardini è il più grande d’Europa.
Il parco si compone di due parti: il giardino all’italiana e il giardino all’inglese, uniti da viali, fontane, una fortezza in miniatura, una cinta bastionata, più tardi trasformata in giardini.
La prima pietra venne posta, con una cerimonia ufficiale, il 20 gennaio 1752, trentaseiesimo compleanno del re Carlo.
Tale momento viene ricordato dall'affresco di Gennaro Maldarelli[31] che campeggia nella volta della Sala del Trono.
Posa prima pietra
Il progetto prevedeva un grandissimo edificio con due facciate uguali, l’una sulla piazza d’armi, l’altra sui giardini e ben 1200 stanze.
I giardini furono completati dopo la partenza del Re e nel 1762 l’acqua, proveniente da Maddaloni, a 41 km di distanza, arrivò al Palazzo tramite l’Acquedotto Carolino, sviluppandosi prevalentemente in gallerie, con tre viadotti ispirati agli acquedotti di epoca romana, tra cui i celebri “Ponti della Valle di Maddaloni”.
Antonio Joli, Festa per l'inaugurazione dell'acquedotto Carolino
Ponti della Valle di Maddaloni
Il monumento dei Ponti della Valle, nei pressi di Maddaloni (Caserta), dove il 1° ottobre 1860 una pattuglia garibaldina guidata da Nino Bixio (in primo piano) fermò un attacco dell'esercito delle Due Sicilie
Non è certo qui possibile fare una descrizione del Palazzo Reale e dei suoi giardini, trattandosi di uno dei capolavori dell’architettura più conosciuti ed amati al mondo, pertanto si farà solo qualche accenno agli ambienti più belli ed importanti.
Vista della Reggia di Caserta dall'alto
Nell'atrio, all'ingresso del palazzo, si apre il vestibolo inferiore dal quale si può ammirare l'infilata dei quattro cortili che aprono la vista sul parco.
Cortile della Reggia di Caserta vista dall'atrio
Lo Scalone Reale, altrimenti detto “Scalone d’Onore”, conduce al piano superiore dove si trovano il Vestibolo, gli appartamenti Reali e la Cappella Palatina. Esso si presenta come una grande rampa centrale che, successivamente, si sdoppia in due rampe parallele.
Scalone reale
Al termine della rampa centrale si accede al primo pianerottolo, dove iniziano le rampe parallele, alla base delle quali si trovano due leoni in marmo bianco, realizzati da Pietro Solari[32] e Paolo Persico[33].
Di fronte al Vestibolo superiore c’è la Cappella Palatina, inaugurata nella Messa di Mezzanotte del Natale del 1784, alla presenza del Re e di tutta la Corte.
La cappella, ispirata alla cappella della reggia di Versailles, è una sala rettangolare, con la volta a botte ornata di cassettoni e rosoni dorati e un'abside semicircolare.
Cappella Palatina
A sinistra della Cappella si aprono gli Appartamenti Reali: il salone degli alabardieri, il salone delle guardie, il salone di Alessandro. L'Appartamento Vecchio era abitato già alla fine '700 da Ferdinando IV. Le sale di rappresentanza sono note come Stanze delle Stagioni perché hanno i soffitti affrescati con allegorie delle stagioni.
L'Appartamento Nuovo, così chiamato perché costruito nell'Ottocento, consta di tre stanze: la sala di Marte, la sala di Astrea e la sala del Trono, la più grande del palazzo.
Volta affrescata da Hackert
Affresco di Hackert raffigurante l’Estate
Attraversata la Biblioteca Palatina, si arriva alla Sala Ellittica, tutta dipinta di bianco, senza decorazioni, destinata ai divertimenti di corte; attualmente ospita l’incantevole Presepe borbonico, testimonianza dell’enorme importanza data dai Borbone alla tradizione napoletana dell’arte presepiale.
I Re Magi del presepe borbonico
Un altro gioiello del Palazzo è il Teatro, a ferro di cavallo, progettato solo successivamente per espressa volontà del re Ferdinando IV, grande appassionato di teatro.
Teatro di corte
Dalla Sala Ellittica si accede alla splendida Pinacoteca Casertana, recentemente allestita con la sezione dei ritratti dei Sovrani e con quella dedicata agli splendidi paesaggi che Ferdinando IV commissionò a Jacob Philipp Hackert[34], secondo vero artista della reggia di Caserta.
Parte integrante della maestosità e della bellezza della reggia di Caserta è il meraviglioso parco, tipico esempio di giardino all'italiana, costruito con vasti prati, aiuole squadrate e soprattutto un trionfo di giochi d'acqua che zampillano dalle numerose fontane.
Grandioso effetto paesaggistico hanno le grandi cascate terminali delimitanti il lato occidentale del giardino inglese, con le incantevoli sculture, per le quali solo l’occhio può dare fedele riproduzione.
Fontana di Diana e Atteone
Fontana di Venere e Adone
Il parco è stato spesso accostato ai giardini francesi e molto probabilmente Vanvitelli per il suo progetto teneva presente la grande tradizione dei giardini rinascimentali a cui pure quelli francesi si richiamavano.
Il parco di notte
A sinistra del palazzo, nel cosiddetto "bosco vecchio", sorge la Castelluccia, una costruzione che nella configurazione attuale ricorda un castello in miniatura e presso la quale il giovane Ferdinando IV si esercitava in finte battaglie terrestri.
La Castelluccia
La Peschiera grande con l'isolotto centrale
Procedendo verso nord est si trova la peschiera grande, un lago artificiale con un isolotto al centro, in cui venivano simulate le battaglie navali.
Dalla fontana Margherita inizia la seconda parte del parco, realizzata da Carlo Vanvitelli, il figlio di Luigi.
Da questa si giunge ad una vasca che termina con la “Fontana dei Delfini”, così chiamata perché l'acqua fuoriesce dalle bocche di tre grossi pesci scolpiti in pietra.
La fontana dei tre delfini
Il parco comprende anche un Giardino Inglese, ricco di piante esotiche e rare e abbellito da serre, aiuole, boschetti e viali che seguono ed enfatizzano l'accidentata conformazione del territorio[35].
Il Giardino Inglese, sotto la guida e la cura dell'instancabile giardiniere inglese, John Andrew Graefer, è probabilmente uno dei primi in Italia costruito a fundamentis.
Il Giardino inglese
La regina di Napoli, Maria Carolina, su suggerimento di Sir William Hamilton, ministro plenipotenziario di Sua Maestà Britannica presso il regno di Napoli, aveva deciso di costruire a Caserta un giardino "informale" o "di paesaggio", secondo la moda che dall'Inghilterra andava diffondendosi in tutta Europa e che trovava la sua origine nei diversi fermenti culturali che, soprattutto durante il XVIII secolo, avevano portato alla riscoperta della dignità umana e della natura. Anche le descrizioni dei giardini cinesi che si diffondevano in occidente in quel periodo sembravano ben rispondere alle nuove idee di rispetto ed amore per la natura. I giardini "all'italiana", invece, con la loro struttura geometrica sembravano quasi “mortificare” quella spontaneità del mondo naturale esaltata da filosofi, poeti ed artisti, e non trovavano pertanto più corrispondenza nel pubblico, affascinato dal pittoresco e dall'esotico.
Nella realizzazione del progetto il giardiniere inglese fu affiancato da Carlo Vanvitelli che, come direttore dei lavori nella reggia di Caserta, si occupò della costruzione delle emergenze architettoniche di cui il giardino necessitava. Dalla collaborazione, per la verità non sempre pacifica, tra i due nacque un giardino di paesaggio sicuramente tra i primi in Italia.
Nella concezione del giardino di paesaggio si inserirono i nuovi interessi scientifico-botanici che spiegano la ricchezza di esemplari di specie esotiche e rare importate e che si cercava di acclimatare.
Il Giardino fu riordinato nel 1982 dopo decenni di dimenticanza ed è particolarmente vario, formato anche con sementi e piante di Capri, Vietri, Salerno, Cava de Tirreni, Pedemonte, Agnano, Solfatara, Gaeta ed ha un aspetto “disordinatamente naturale”.
La Venere inginocchiata nel Giardino Inglese
Il giardino inglese costituì una sorta di centro di diffusione botanica, insieme agli altri annessi alle molte ville del territorio casertano, beneventano e napoletano che conservano ancora esemplari botanici che la tradizione orale o la documentazione scritta vogliono provenienti dai vivai reali.
Anche a Caserta non mancano gli effetti dei “capricci del Re” come l’impianto di numerosi gelsi, destinati all’alimentazione dei bachi da seta, indispensabili per produrre tessuti per la fabbrica di San Leucio.
[30] Ovvio il richiamo a Versailles.
[31] Nacque a Napoli nel 1795 o 1796. Pittore figurinista, allievo dell’insigne esponente del neoclassicismo napoletano Costanzo Angelini, Maldarelli fece parte del gruppo di artisti accademici che guadagnarono notorietà e fama lavorando quasi esclusivamente al servizio dei Borbone negli anni della seconda Restaurazione.
[32] Pietro Solari di origine napoletana. Il Solari, dopo la morte del padre, avvenuta probabilmente alla fine di marzo o forse nei primi giorni di aprile, chiede di poter continuare a lavorare alle opere lasciate da questi incompiute. L’ultimo documento relativo all’artista è datato 1 settembre 1789 ed è un pagamento per la scultura di tre statue raffiguranti cacciatori (C.C. vol. 1258 f.367).
[33] Paolo Persico (1729 – 1797 ). Con Reale Dispaccio del 21 giugno 1779 è ammesso a lavorare alle opere di scultura del Parco, insieme a Pietro Solari. Fino al 1785 lavora alle stesse opere del Solari ed uniti sono anche i pagamenti, sebbene, con altro Dispaccio, il 21 ottobre 1782 venisse “confermato a continuare le opere di scultura solo”. L’ultimo documento ritrovato è relativo ad una richiesta presentata dal Persico per un pagamento relativo al restauro delle statue, in stucco, della Maestà Regia. La richiesta di parere al Vanvitelli è datata 29 luglio 1797 ma il pagamento dei dieci ducati spettanti al Persico verrà fatto a Carlo e Domenico Brunelli, curatori e tutori dei figli minori dell’artista. (C.C. vol.1424 ff.49-50).
[34] Hackert, è il pittore di Prenzlau che giunse a Napoli nella primavera del 1770. Nel 1768 era partito dalla Germania per visitare il “Bel Paese” e le sue “antichità”. Era indispensabile alla formazione dell'artista “nordico” sia esso poeta, pittore, scultore o semplicemente “nobiluomo” o uomo di cultura, la visita all'Italia come “locus mirabilis”. La tappa di arrivo di tutto il viaggio del Gran Tour, era Napoli e, soprattutto, gli scavi di Pompei ed Ercolano ritratti con rapidi segni nelle gouaches degli artisti, secondo una tecnica che consente la rapida stesura del colore. Sono rimasti a memoria eterna di questi viaggi avventurosi i diari e le biografie degli scrittori d'Oltralpe, come la “Vita di Philipp Hackert” scritta da Johann Wolfgang Goethe, preziosa testimonianza della vita del pittore nell'Italia di fine Settecento. Sappiamo che dopo il soggiorno a Napoli, nel 1771, rientrato in patria, Hackert ritornò in Italia nel 1784 e inoltrandosi all'interno della Campania Felix giunse a Caserta. Il pittore alcuni anni prima, nel maggio del 1782, aveva incontrato il Re di Napoli, Ferdinando IV di Borbone. Goethe nella “Biografia” descrive l'incontro tra il Re e il pittore prussiano. Hackert all'epoca dipingeva San Leucio e la grande piana che si estendeva fino al Vesuvio e al mare. Il luogo era davvero mirabile e giustificava la committenze dei principi ereditari russi che gli commissionarono dipinti raffiguranti paesaggi dei dintorni di Roma e del Napoletano, fra cui due vedute del Palazzo di Caserta e della Campania Felix, datati al 1784 (Hermitage, Pietroburgo) e la tela della piana di Caserta dipinta per Caterina II di Russia. L'incontro tra il Re ed il pittore avviene, all'apparenza, in maniera casuale. In realtà Hackert, con la mediazione del conte Grigoriewitsch Rasumowskij (1724-1803), ambasciatore russo a Napoli s'incontrerà con Ferdinando di Borbone che “si fece trovare appositamente con il suo album nei luoghi dove Ferdinando era solito passare durante le sue battute di caccia”. Il Re fu così entusiasta dell'artista e della sua pittura da invitarlo a produrre le gouaches per il "gabinetto privato di S. M. il Re" e nominarlo primo pittore di corte nel 1786. Iniziò così un sodalizio durato fino al 1799, quando il pittore partì per la Toscana, spaventato dai disordini napoletani di quell'anno, morendo nell'aprile del 1807.
[35] Nel giardino paesistico, la cui patria d’origine è l’ Inghilterra, tutto è controllato con apparente spontaneità: si ammettono solo le forme naturali; dimenticate le simmetrie, le uguaglianze, le divisioni geometriche. Esso vuole essere soltanto una copia perfetta, anzi migliorata, della natura, in cui anche gli alberi disposti a gruppi e i viali non devono creare divisioni nell'ambiente. Grotte, ruderi, templi, laghetti, ponticelli sono posti in angoli romantici quasi percaso, talvolta ricordano celebri pitture. In Italia questi giardini trovarono una notevole diffusione, anzi spesso quelli preesistenti furono adattati alla nuova moda, come parte di villa Borghese e villa Pamphilj a Roma.
2.4 Il Real Casino di Persano
Già prima dell’acquisto dei feudi di Serre e Persano, avvenuto nel 1758, Carlo di Borbone fece costruire il “casino reale” di Persano, su progetto dell’ingegnere militare Giovanni Domenico Piana[36], ma a causa di gravi dissesti statici, fu ristrutturato su progetto di Luigi Vanvitelli.
Il palazzo, a due piani, è di pianta quadrata con cortile centrale; negli angoli quattro vani ottagonali circuiscono tre scale elicoidali. Su di un lato dell’atrio di ingresso si trova l’ampio scalone di rappresentanza che si avvolge in un ampio vano riccamente decorato da stucchi.
Il Real Casino di Persano
Dal perimetro dell’edificio fuoriesce, per il solo pianterreno, l’abside della cappella di S. Maria delle Grazie.
Nel cortile una serie di arcate su due ordini delimitano ciascun lato; l’effetto chiaroscurale è affidato al contrasto tra le forti ombre delle arcate aperte e le superfici lisce dei chiusi volumi angolari.
Le opere destinate ad abbellire il “casino reale” sono state realizzate da artisti come Francesco Celebrano[37], Jacob Philipp Hackert, Salvatore Fergola[38], Raimondo di Sangro, Principe di Sansevero[39]ed altri.
Interno del Real Casino di Persano
L’Illuminismo e il diffondersi di una cultura ispirata ai modelli francesi, un più vivo contatto tra Napoli capitale e le maggiori città europee, nonché la diffusione delle teorie di Laugier[40] e di Ruffo[41], che proponevano l’immagine di una città intesa come un bosco attraversato da viali, sono tutti elementi che di sicuro ispirarono la costruzione urbanistica del sito reale di Persano.
La notorietà di Persano è dovuta a situazioni diverse susseguitesi nel tempo. Carlo di Borbone lo volle “sito reale” scegliendolo per incrementare la razza del cavallo “Salernitano-Persano”, presente già dal 1649 e attore di importanti primati equestri. Oggi il sito ospita uno dei presidi militari dell’Esercito Italiano nonché la più grande centrale fotovoltaica d’Europa.
[36] Nato a Ponna, nello Stato di Milano, odierna Como, fu un illustre ingegnere militare. Molti storici, anche illustri, lo considerarono erroneamente spagnolo, per tale motivo è spesso citato nelle fonti come Juan Domingo Piana. Operò presso la Corte di Carlo VII e di Ferdinando IV di Borbone.
[37] Pittore e scultore (Napoli 1729 - ivi 1814). Formatosi alla scuola del Solimena, attraverso le esperienze di F. De Mura e C. Giaquinto giunse a un cromatismo più chiaro e luminoso (Cristo Redentore e santi, 1753, Aversa, S. Domenico; Assunta, 1773, Napoli, chiesa dello Spirito Santo, ecc.). Come scultore, portò a termine la decorazione della capp. Sansevero a Napoli (1766-68), eseguendo, oltre a varî monumenti funebri, la bella pala marmorea con la Deposizione. Si dedicò anche alla plastica minore producendo figurine per presepî, segnate da immediatezza espressiva, e dirigendo (1772-81) la manifattura reale di porcellana.
[38] Allievo all'Ufficio topografico di Napoli, già dai primi lavori riscosse l'attenzione della corte borbonica, la quale diventò una delle sue principali committenti. Francesco I gli commissionò alcune vedute napoletane: Napoli da Capodimonte, Napoli dalla Marinella, Napoli dal Ponte della Maddalena e Veduta dell'orto botanico. Nello stesso anno viaggiò assieme a Francesco I nel regno delle due Sicilie, per dipingere luoghi di queste regioni. Dal 1821 lavorò a Castellammare, Caserta e San Leucio. Nel 1826, presentò alla Mostra napoletana diversi paesaggi: Airola; Il bosco della Ficuzza; Una grotta sulla strada a Capodimonte; L'isola de Galli; Il Molino della pietra a Castellamare; Il ritorno della Real Famiglia da Montevergine. Nel 1827, venne nominato professore onorario al Real Istituto di Belle Arti. Nel 1830, divenne pittore di corte e accompagna la famiglia reale a Madrid e a Parigi. Nel 1839 ottenne l'impiego alla Reggia per le pitture di decorazioni e di paesaggio. Tra le sue opere più note: Il getto della prima pietra della Cappella al Campo di Marte (Caserta, Palazzo Reale); L'inaugurazione della Ferrovia Napoli-Portici; La strada ferrata di Castellammare del 1845; Interno della Sala Tarsia con i prodotti di arti e mestieri; Il ponte sul Garigliano (Napoli,Museo di Capodimonte); La cascata (Museo di San Martino); Caino perseguitato dall'ira di Dio datato 1849 (Napoli, Palazzo Reale); Caino e Abele (Napoli, Avvocatura dello Stato); Naufragio di Nisida (Napoli, Palazzo Reale); Gesìr che placa la tempesta (Museo di Capodimonte); San Francesco di Paola in orazione; Cristo nell'orto, datato 1858 (Napoli, Galleria dell'Accademia di Belle Arti); Riposo dalla fuga in Egitto (Napoli, Palazzo Reale).
[39] Raimondo di Sangro principe di Sansevero (Torremaggiore 1710 – Napoli 1771) fu un originale esponente del primo Illuminismo europeo. Valoroso uomo d’armi, letterato, editore, primo Gran Maestro della Massoneria napoletana, egli fu – più di ogni altra cosa – prolifico inventore e intraprendente mecenate. Nei laboratori sotterranei del suo palazzo, in largo San Domenico Maggiore, il principe si dedicò asperimentazioni nei più disparati campi delle scienze e delle arti, dalla chimica all’idrostatica, dalla tipografia alla meccanica, raggiungendo risultati che apparvero “prodigiosi” ai contemporanei. In virtù della sua concezione prevalentemente esoterica della conoscenza, di Sangro fu però sempre restio a rivelare nei dettagli i “segreti” delle sue invenzioni.
[40] Marc-Antoine Laugier, teorico dell'architettura francese, che con la sua opera contribuì al dibattito teorico all'interno del neoclassicismo europeo. Allievo dei gesuiti, entrò nell'ordine e, lasciata la natia Provenza, visse in diverse città, maturando una grande cultura in vasti campi del sapere e dimostrando capacità come predicatore, tanto da leggere i propri sermoni anche a corte, dopo il suo trasferimento a Parigi. Spirito originale e vivace, fu apprezzato anche dagli enciclopedisti ed i filosofi illuministi. Nel 1755 lascia il suo ordine in seguito a sermoni eccessivamente critici pronunciati a Versailles ed entra nell'ordine benedettino.
[41] Ruffo di Bagnara, Fabrizio - Ecclesiastico e uomo politico (Castello di S. Lucido, Calabria, 1744 - Napoli 1827). Su incarico del re Ferdinando IV riconquistò il Regno di Napoli (1798) dopo l'invasione napoleonica, sfruttando l'insurrezione sanfedista dei contadini.