Il paesaggio borbonico di Terra di Lavoro
Persano, Venafro, Procida e Carditello erano luoghi caratterizzati dalla qualità del paesaggio e della natura, ma anche legati alle attività produttive. Per tale motivo gli edifici, realizzati con la funzione di residenza reale, anche se temporanea, dovevano tenere conto delle esigenze legate a tutte le funzioni che normalmente in esse si svolgevano.
Gli studi che si sono occupati dell’architettura dei cosiddetti “siti borbonici” ne hanno, di volta in volta, sottolineato il carattere di luoghi di produzione agricola o di mera residenza reale.
Anche il sistema della viabilità realizzato in epoca borbonica è spesso attribuito alla necessità dei sovrani di raggiungere questi luoghi di delizie con facilità.
Il fenomeno tende a distinguersi nel tempo, separando in maniera progressivamente più netta i siti destinati alla residenza, rispetto a quelli nei quali era prevalente la funzione produttiva; è questo il caso del complesso di San Leucio.
Si deve sottolineare che le costruzioni della prima età borbonica accentuano il carattere rappresentativo della residenza, anche in ossequio al gusto dell’epoca che “popolava Versailles di falsi pastori”[53], cioè la moda che si diffuse in quel periodo di farsi ritrarre con abiti da popolani.
In questa tendenza convergeva anche la necessità di ribadire il legame della dinastia con il territorio amministrato e l’esigenza di dare impulso alle attività economiche in uno stato che faticosamente cercava di riorganizzare le proprie strutture produttive.
In quest’atmosfera vengono realizzati alcuni fra gli esempi più interessanti della produzione architettonica di fine Settecento, altrimenti segnata prevalentemente dalla costruzione di edifici religiosi.
L’arrivo a Napoli di Luigi Vanvitelli e Ferdinando Fuga, secondo alcuni studiosi, orientò fortemente l’architettura, apparentemente in aperto contrasto con la tradizione costruttiva ed artistica napoletana, ancora molto impregnata della cultura barocca. Tuttavia in queste case reali “minori”, dove la funzione rappresentativa e celebrativa è posta in secondo piano rispetto all’aspetto privato e ricreativo, emergono soluzioni architettoniche ed artifici decorativi che sembrano proseguire la tradizione artistica napoletana, pur aprendosi sensibilmente ai nuovi orientamenti neoclassici.
L’aspetto che lega fra loro le realizzazioni borboniche dell’ultimo quarto del XVIII secolo è soprattutto l’inserimento nel territorio e nel paesaggio delle nuove “fabbriche”: ciò accade a San Leucio nel Casino Vecchio, come anche nel Belvedere e soprattutto nella reggia di Carditello.
Anche se il sistema della viabilità è studiato appositamente per rendere migliori le condizioni di fruizione del sito da parte del sovrano, l’articolazione dei volumi degli edifici ne tiene conto nelle visuali prospettiche. Infatti se il Casino Vecchio di San Leucio si sviluppa prevalentemente su di un solo fronte tangente alla via di accesso, Carditello ed il casino del Belvedere giocano contemporaneamente sulla lunga visuale imposta dalla via di accesso e su prospettive assiali che scaturiscono dal rapporto con i terreni che costituiscono la tenuta e dal progetto di una nuova città.
Vista laterale del Complesso monumentale del Belvedere di San Leucio
Carditello è il fulcro di un progetto a scala territoriale che nel riproporre il motivo del tridente, familiare a Vanvitelli che lo aveva sperimentato con successo a Caserta, tende a fare della residenza reale il centro ideale di un progetto anche economico.
La bonifica di aree umide e paludose permise, infatti, l’apertura di nuove strade utili allo svolgimento delle attività agricole organizzate in azienda oltre che allo sviluppo della zootecnia, intesa come attività sperimentale di selezione di razze pregiate.
Reggia di Carditello
Nel casino di Carditello, nel casino Vecchio e nel Belvedere di San Leucio convivono la funzione residenziale e quella produttiva.
Antico setificio di San Leucio
Mentre nel casino Vecchio, però, le strutture agricole, i depositi e le stalle, sono realizzati all’interno dell’area circostante, separati dagli ambienti destinati alla residenza della famiglia, nel sito borbonico di Carditello la residenza è il centro ideale e geometrico dell’intero insediamento, rispetto al quale domina anche lo sviluppo verticale. Qui il corpo centrale è il più elevato della composizione, così come il Palazzo Reale di Caserta rispetto alle costruzioni circostanti, il cui limite di altezza era fissato nei corpi ellittici antistanti la facciata.
La reggia di Carditello vista di fronte oggi
Al corpo centrale della composizione si affiancano gli altri fabbricati, tutti fisicamente collegati con la palazzina centrale, al punto che, dal primo piano della residenza, attraverso i fienili che sovrastano le stalle, era possibile raggiungere tutte le parti dell’insediamento. Questo tipo di collegamento sembra quasi sancire il legame forte tra i Borbone ed il personale addetto alla produzione a significare come al sovrano, signore di un feudo, stanno a cuore i propri interessi che controlla continuamente.
Corpi laterali del sito di Carditello
Anche nella netta differenziazione fra la residenza principale e quelle del personale di servizio esiste comunque una sorta di affinità; gli annessi agricoli, quali le stalle, ad esempio, sono interrotte ritmicamente dalle torri delle residenze che si elevano quasi quanto la palazzina centrale.
Nel 1744 Carditello fu destinato a luogo di produzione agricola, mentre la realizzazione del complesso architettonico risale al 1787, quando venne chiamato l’architetto Francesco Collecini[54].
L’architettura di questa parte del regno corrisponde alle tendenze neoclassiche che si andavano affermando.
Il complesso è concepito con una logica modulare, che alterna torri quadrate e torri ottagonali a bassi corpi rustici, destinati a scuderie, con copertura a falde, il tutto articolato intorno ad un nodo costituito dalla dominante palazzina centrale.
Palazzina centrale del sito di Carditello
La sequenza lineare delle costruzioni, improntata al concetto di simmetria, contrasta apparentemente con l’organizzazione dei percorsi, negando la possibilità di una visione organica del complesso nella sua interezza.
In realtà gli assi visuali convergono tutti sulle tre prospettive della palazzina centrale: le due laterali, che comprendono anche parte dei corpi di fabbrica posti sulle ali del complesso, e quella centrale che la inquadra attraverso il cancello principale.
L’esterno di questa costruzione è trattato come una superficie autonoma, segnata da un alto basamento a scarpa con bugnature poco rilevate e da un grande arco centrale cieco, sul quale poggia il piano nobile, con ampie forometrie e con copertura a falde. Domina su tutto un’altana, posta in corrispondenza della cupola della cappella, che sovrasta l’intera composizione. L’altana così completamente inglobata è costituita da grandi archeggiature fortemente strombate funzionali ad alleggerire il prospetto.
L’interno della residenza invece risente della consolidata tradizione artistica dell’età barocca. Solo l’ordine gigante del piano terra della cappella, rappresentato da colonne libere che sostengono l’elegante trabeazione costituita dai matronei, è un’ulteriore affermazione della ricerca neoclassica, ancora più percepibile nel momento in cui fra l’ambiente di culto, che diveniva spazio presbiteriale, e l’esterno si stabiliva la continuità, mediante l’apertura del portellone sul cortile interno, che appariva come una grande navata all’aperto.
Tale artificio riproponeva la soluzione sperimentata da Luigi Vanvitelli alcuni anni prima nel Teatro di Corte di Caserta, ribaltandone la logica: mentre a Caserta il paesaggio naturale costituisce il fondale scenico dell’evento spettacolare, a Carditello esso entra prepotentemente all’interno della costruzione.
La famiglia reale alla mietitura a Carditello - Hackert
Ferdinando IV alla mietitura nel Real Sito di Carditello – Hackert
Anche tutta la decorazione è improntata alla ricerca di una continuità con il paesaggio circostante, perseguita nei motivi floreali degli ambienti, nei paesaggi affrescati da Hackert, nella coloriture dei pannelli murari trattati con particolari sfumature di verde, su cui si stagliano gli stucchi costituiti da curiosi trofei di caccia in cui le prede si affiancano alle armi. Le modanature architettoniche delle logge interne, trattate con pittura che simula il marmo grigio di Mondragone, interrompono le superfici e quasi fingono un portico.
E’ nella copertura della Cappella che si evidenzia, invece, l’influenza della tradizione barocca: in un vorticoso movimento dei lacunari che si avvolgono su se stessi, la parte superiore della cupola esplode con l’affresco dell’”Eterno Padre”, in una anticipazione del premio finale destinato a coloro che amministrano con saggezza ed ai buoni cittadini che rispettano le leggi.
[53] Cfr. G. Alisio, Siti reali dei Borboni. Aspetti dell’architettura napoletana del settecento. Roma 1976.
[54] Architetto, formatosi a Roma, dal 1752 fu attivo nella reggia di Caserta come allievo e aiutante di L. Vanvitelli. Architetto di Ferdinando IV, realizzò opere di stampo illuminista: la residenza di Carditello (1787), la colonia di S. Leucio (1778-98). Interessante è il suo progetto per Ferdinandopoli.